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Il calcio in culo

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ImmagineSi può essere di destra o di sinistra, ma non si può fare a meno di accorgersi che il Pdl, il governo e tutto il parlamento italiano sono ostaggio degli umori di una sola persona: Silvio Berlusconi.

Se si ripercorre il mese di agosto, i giorni pari il Pdl dichiarava chiusa l’esperienza del governo Letta, i giorni dispari diceva che “questo esecutivo deve andare avanti perchè sta facendo bene”.

Potrà pure avere le sue ragioni ma un uomo – un solo uomo – non può condizionare la vita di un intero Paese.
Ma è possibile che gli uomini di destra non abbiano la forza di dire che “no, basta, adesso ci siamo stufati di fare le marionette”?

Fermate questa giostra, vogliamo scendere.

Il Pdl vive su una giostra frenetica manovrata da un Silvio Berlusconi preoccupato e neghittoso, d’umore mobile, capace di svolte repentine, ordini improvvisi e contraddittori, ultimatum scagliati e poi ritirati. Martedì, con Denis Verdini e Daniela Santanchè, il suo coordinatore e la Pitonessa, l’architetto di retrovia del Pdl e la tostissima pasionaria, il Cavaliere aveva stabilito i tempi e i modi della crisi di governo. Terminato il colloquio, lasciato il tavolo dello studio di Arcore, Berlusconi aveva accompagnato gli ospiti fino alla porta di casa, e prima di accomiatarsi, guardandoli negli occhi, aveva confermato: “Va convocato un ufficio di presidenza per venerdì, il partito deve chiedere ai nostri ministri di dimettersi, prima che il Senato voti la mia decadenza”. E dunque l’indomani mattina, cioè ieri, come concordato con il grande capo, Verdini ha avvertito il segretario del Pdl Angelino Alfano e ha messo in moto la macchina della crisi di governo. In un attimo, negli uffici del partito, nelle stanze dei capigruppo e nei corridoi dei ministeri si è così diffusa la voce, e comprensibilmente anche l’agitazione, un forte vento di mobilitazione generale, panico persino (la collaboratrice di un ministro al Foglio: “Spero di ricevere gli arretrati dello stipendio prima che cada il governo”). La crisi sembrava a un passo, ma nel pomeriggio tutto cambia, inversione, contrordine, niente più crisi. Alfano, appena chiuso il telefono con Verdini, aveva infatti avvertito Gianni Letta attivando un meccanismo di sicurezza che i falchi del Pdl conoscono ormai benissimo, e lo detestano, lo definiscono, con cattiveria, “il balletto dei traditori, quelli del teatro Olimpico, quelli che volevano passare con Monti”. Avvertito Alfano, il passaparola affannoso tra i dirigenti e tra i ministri a quel punto è stato molto rapido. In un attimo i generali del Pdl si sono addentrati ancora una volta nel labirinto di specchi e tormenti nel quale il Cavaliere ormai li obbliga a brancolare da settimane, come nella canzone di Gino Paoli, “tu trascini la nostra vita / senza un attimo di respiro”. Così tutti chiamano tutti, “bisogna fare qualcosa”. I telefoni dei palazzi della politica romana esplodono, è una catena pressoché infinita, Gianni Letta, Gaetano Quagliariello, Fabrizio Cicchitto, Maurizio Lupi, Nunzia De Girolamo, Renato Schifani… E insomma, attorno al Cavaliere, in poche ore, si stringe un formidabile cordone sanitario. Il grande capo viene circondato di telefonate da Roma, e mentre la Borsa cala sulle voci di crisi, è ricondotto a più miti consigli. Alla fine il vertice di guerra salta, e la crisi rinviata a data da destinarsi (lunedì?). Ma al calare della sera, a cena, ad Arcore, fa ingresso per il secondo giorno di fila Daniela Santanchè, la Pitonessa, la falchissima. E così la giostra, prevedibilmente, ricomincia.

La telefonata di Lupi a Enrico Letta
Nel momento di massimo tramestìo, nel pomeriggio forse più agitato della legislatura, Maurizio Lupi, ministro dei Trasporti, ha telefonato al presidente del Consiglio Enrico Letta che si trova a San Pietroburgo per il G20. “Guarda che Berlusconi fa saltare il governo, vuole farlo questo fine settimana, dovresti lanciare qualche messaggio distensivo, magari parlare in pubblico”. E infatti Letta, dalla Russia, manda una timida carezza ad Arcore e, richiesto di giudicare l’affidabilità del Pdl e del Cavaliere, il presidente del Consiglio ha sorriso: “Silvio Berlusconi è uno dei leader dei partiti che sostengono il mio governo. E’ molto importante che si continui a lavorare insieme”. Ma Letta non è disposto a fare di più. E d’altra parte, al telefono con Lupi, il premier quasi fa spallucce, esercita un felpato scetticismo sulle reali intenzioni del Cavaliere, sfumature di dubbio che il ministro berlusconiano forse non coglie fino in fondo nelle pieghe della voce del suo premier. E infatti, ai colleghi di partito, Lupi consegna una versione edulcorata del colloquio con il presidente del Consiglio. Letta, in realtà, è da tempo convinto che Berlusconi stia bluffando, non crede affatto alle minacce di crisi, non vede per il Cavaliere nessun lieto fine che escluda dall’orizzonte il governo di grande coalizione. E dunque, malgrado la sua indole mediorientale, Letta ha deciso di giocare d’azzardo, è pronto a rischiare, vuole vedere tutte le carte del rivale, e in questo gioco di scommessa è confortato anche da Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica che pare disponibile a farsi carico, a tempo debito e alle sue condizioni, dell’intricatissimo dossier Berlusconi, il condannato che vorrebbe restare in campo, ma che forse Napolitano vuole spingere alla pensione in cambio della libertà.

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